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GEOGRAFIE A FILO Diana Pintaldi

Opening 28 ottobre 2023, ore 18.00

GATE30 | Roma

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TESTO CRITICO A CURA DI LAURA CATINI

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Una luminescenza torreggiante si manifesta come terzo occhio percipiente un interiore impercettibile sito nei luoghi di una coscienza esperienziale extracorporea e in un tempo che Emmanuel Lévinas nella sua Etica e infinito ci dice non essere una semplice esperienza della durata, ma un dinamismo di ciò che ci conduce altrove rispetto alle cose che possediamo. Si intravedono fori, come fessure temporali, in cui lo sguardo e la luce divengono punto invisibile di un collegamento storico, nella traccia del codice Morse. In una risonanza magnetica, nell’epifisi di Etna gigantE (2022), il processo percettivo si altera in sperimentazione emozionale, impressionando le narrazioni del pensiero artistico, nelle sue forme espressive e materiali. Il corpo geografico racchiude congiuntamente un altro corpo, secondo il sensus communis, che concatena le percezioni sensoriali nel nucleo – sede dell’anima di una leonardesca architettura craniale, o paesaggio “percettivo” contenente, in un fiato, l’emisfero sinistro e destro, momenti dello stesso luogo attratti da una scia semicircolare che chiama il pieno, vuoto e il vuoto, pieno in un ininterrotto flusso, in cui si dispongono le Geografie a filo. Il sangue del filo di un conflitto presente salda visivamente un vuoto forestiero all’umano, ricucendo mentalmente un torrente nero dirupato. Un ago a pendolo indica le naturali inclinazioni gravitazionali proprie del singolo, incarnate in una trama che è tessuto epiteliale. In Tempo metaforico (2023), wanderkarte del 1972, trovata in una casa in montagna, il segno del tracciato impresso dall’artista si arresta per ormeggiare orientamenti infinitesimali, in un’area scevra di confini. Il camminamento giunge all’equilibrio sospeso di lastre che si alimentano di un’autonoma inclinazione in Se fossi un punto in movimento (2023). Assemblandosi in un aere compenetrato di luce, solidificano virtualità plastiche in superfici fluttuanti. La nostra non è nuova a opere di ispirazione cine visuale. Il fenachistoscopio, all’interno dell’Atelier#2 al MACRO Asilo, ha ammesso la presenza fisico-immersiva nel regime di apprendimento e di assimilazione, tramite una modificazione delle prestazioni di equilibrio psico- fisico posto in uno stato destabilizzante di tensione percettiva. L’operato è inscritto in quella categoria szeemanniana della tendenza all’opera d’arte totale, non wagneriana, ma con l’accezione di diversi approcci tecno-metodologici che escludono qualsiasi classificazione di genere. Le metamorfosi invisibili - che gemmano sui supporti - dirigono da un tempo reale ed esperibile a quello che Lorand Hegy definisce “tempo metaforico”, non risiedente nell’entità reale- fisica dell’individuo ma in una percezione intellegibile del tempo in quanto, realtà costante, inarrestabile, ineluttabile, irreversibile, onnipotente determinante. Nella concretizzazione di mutamenti in una totalità che è trasformazione drammatica, germina una nuova realtà di nesso

spirituale tra i molteplici orizzonti dell’esistenza e in cui insito è l’accesso ai veri accadimenti del tempo. Una carta del vissuto e della storia fonde un retro che è reazione con un linguaggio richiedente una sollecitazione alla traduzione, preesistente all’interconnessione: dunque, non una decodificazione ma l’idea di una possibile azione è membrana di ininterrotti segni di futuri potenziali. Ilya Kabakov, in Der Text als Grundlage des Visuellen, (1982, p. 108), esplicita ilprocesso dell’oltre-passamento dei confini tra sfere spaziali e temporali, ove il significato metaforico dell’allontanamento da uno stato per accedere a un altro e il passaggio da un Tempo a un altro riconducono all’ampiamento metaforico dell’esistenza. L’alfabeto Morse è istanza scaturita da una ciclopica mappa concettuale (ottobre 2021), costellata da una miriade di parole riposizionate dall’artista, per un intero mese. È trait d’union di punti, spazio, tempo e luce. Il ricamo diviene segno grafico in un contesto collettivo-antropologico. Sorge il ricordo delle Geografie, ciclo degli anni Ottanta di Maria Lai. Tra meridiani e paralleli, si sviluppa una scrittura che parla all’avvenire, in cui il passato e il presente convivono. Il sogno dello sconfinamento è utopistico e afferente a un eroe viaggiatore di un odisseico viaggio joyciano e a una lente epistemologica, in cui – afferma Diana Pintaldi – azioni e reazioni delineano il nostro futuro.

La mia irregolarità tecnica nel cucito – evidenzia ancora – è un punto linea. Connettevo tessuti di recupero, quindi, storie diverse per crearne una nuova e comune. In quelle connessioni di filo c’è una storia. I palindromi sono germi inconfessati, ma non affatto riprovevoli, quanto assimilabili a fulgide costellazioni del quotidiano. In La cartografia non è mai neutrale (2023), le interconnessioni territoriali e storico-culturali-religiose hanno portato a una rappresentazione strutturalmente“soggettiva” e congelata nel presente. Giungendo a una maniera oppositiva, si estende un fluire dinamico, in cui il filo attraversa indistintamente il territorio. Sulla carta si legge Holy land today in alto a sinistra, mentre nella parte in basso a destra, sotto al confine del Kuwait, appare la scritta neutral territory. È stata disegnata dalla sezione cartografica della National Geographic Society per il National Geographic Magazine ed editata da Gilbert Grosvenor, nel 1946.

Il caso, in una mattinata ventosa, porta il ritaglio di una piccola carta di TuttoCittà, nell’androne del palazzo di villeggiatura dell’artista. Accolto come predestinazione, lo ricama in codice Morse, in un prezioso e piccolo pendaglio in vetro, in Il tempo dei luoghi (2023). In una continuità simmetrica, l’occhio si immette in un’assenza propedeutica alla capacità dello spirito di re-inventare figure mentali in forme differenti dal tangibile e in una ritmicità scomposta ma ciclica dell’opera – palindromo, Cucire i missili vilissimi su risonanza (2022). In eter nI (2023), la comunicazione tangeun’assonanza virtuale in uno scorrere curvilineo irregolare che tronca una placida superficie specchiante. La linea immaginaria dell’opera è schema espositivo che cinge e relaziona i due ambienti. All’estremo del percorso verbo-visuale, dimorano le due lastre di rame (fronte) e di alluminio (retro) Isochrones (2022) e I missili vilissimi (2022), anch’esse palindrome, in cui l’io è invitato, in un’attivazione psico-motoria, nel ritrovamento della genesi e della futuribilità delle note iniziatiche delle opere.

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GEOGRAFIE A FILO | Diana Pintaldi

GATE30 – Roma
28 ottobre 2023, ore 18.00

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